Omelie

Omelia del 12 ottobre 2014 - Domenica XXVIII per Anno (A)

Il Gesù dell’evangelista Matteo continua da alcune settimane a parlarci in parabole. Lo anticipa Isaia con una parabola consimile.

La parabola generalmente tocca due vertici: quello della chiarezza, ma anche il vertice delle varie interpretazioni. E’ quello che si propone la parabola uscita dalla bocca di Gesù, in risposta a quella profetizzata da Isaia, secoli prima: non una ripetizione, ma uno sviluppo. Entrambe partono da un presente, ma  guardano avanti. Oltrepassano gli steccati su cui poggiano i nostri sguardi e sciolgono le briglia delle nostre interpretazioni. 

Con immagini eloquenti, Isaia e Gesù  fanno capire quello che sarà il futuro assoluto, nostro e dell’intero creato. Paolo ci dice che ‘la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù  della corruzione, per entrare  nella libertà della gloria dei figli di Dio’, rivelando così che la fine di questo mondo non sarà la distruzione, ma la risurrezione dell’intero creato a vita nuova.

Torniamo sul messaggio principale che la parabola di Isaia contiene e vuole seminare in noi come verità di fede! E’ un messaggio di grande gioia, non fondata su sogni irrealizzabili, bensì sulla Parola dell’Unico che può fare ciò che dice, cioè Dio. Ci racconta quale sarà il ‘dopo’ definitivo della storia che sfocerà nell’eterno presente di Dio. 

Dice Isaia: “Preparerà il Signore… per tutti i popoli… un banchetto di grasse vivande, ecc”. Ad una nostra angosciante domanda sul ‘dopo’, Isaia  risponde: “: “Egli (il Signore) strapperà  il velo che copriva la faccia di tutti i popoli ed eliminerà la morte per sempre”. Questa è una verità rivelata che noi dobbiamo credere, e che si realizzerà pienamente solo in quel futuro assoluto che “Il Signore….preparerà”. Ma il nostro domani suppone un presente realizzato. Saremo noi, il presente da scrivere, degni di ricevere quel futuro che or ora abbiamo umilmente meditato?

La risposta ce la dà Gesù. A prima vista la sua parabola sembra smentire Isaia, ma non è vero. Gesù è preoccupato di dirci quale fu ed è in gran  parte la nostra risposta alla chiamata del Signore.La nostra vita è un invito ad un banchetto nuziale. Il Padre dello sposo, cioè colui che invita al banchetto, è Dio. Lo sposo è Gesù di cui conosciamo l’identità. Chi è la sposa? E’, come dice Isaia, l’unione festosa di tutti i popoli, come membra di un unico corpo. Per Dio non c’è preferenza tra persona e persona; per tutti ha confezionato l’abito nuziale. Lo sposo è l’inviato di Dio per fare di tutti un solo popolo. Quell’unico popolo è la sua diletta sposa, cioè noi tutti. 

Qual è la nostra risposta? Chi ha come dio i propri interessi, non ha tempo da perdere per questioni  morali e spirituali. Si autocondanna. E sono tanti. Coloro, invece, che hanno fame e sete di Dio, facendo la sua volontà. avranno i primi posti. Saranno rivestiti con la doppia veste: quella nuziale e ancor più quella da sposa. Che ve ne pare? A me ed a voi dirci e darci la risposta, assolutamente facile a parole, ma non con i fatti.

don Rinaldo Sommacal