Omelie
Omelia del 21 settembre 2014 - Domenica XXV per Anno (A)
E’ l’apostolo Paolo che, con la sua confessione quasi scandalosa, attira oggi la mia personale attenzione, che facilmente trova la vostra condivisione.
Paolo scrive ai cristiani di Filippi, che amava teneramente come un padre, come una mamma: “Sono stretto fra due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo”; (e poi, quasi sotto voce, con rossore, come se dovesse confessare una sua intima colpa sia verso la volontà di Dio, sia verso quella comunità che amava ed dalla quale era pienamente corrisposto, aggiunge: “…il che sarebbe assai meglio”). E poi, conscio della sua grande responsabilità verso quelli che Dio gli aveva affidato come famiglia e che, se morto, sarebbero rimasti orfani del loro genitore, subito confessa: “ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo”.
E’ un tema sempre attuale, oggi addirittura drammatico, quello di indagare sul giorno e sull’ora della nostra morte, su chi lo decide, su chi può deciderlo.
Ci sono più risposte: quella di Paolo, quella di Gesù, quella della personale coscienza, quella della disperazione, ma anche quella di una certa cultura, che sta diventando valanga, che presume di poter mettere le mani sulla propria e altrui vita, decidendo quando e come farla nascere, ma anche quando e come farla finire.
Si può desiderare la morte? San Paolo dice di sì. In favore di quel sì ci sono molti maestri di spiritualità, però il valore morale del sì sta nel perché e nel come si vuole morire: Il ‘desidero morire’ di Paolo non è contro, ma del tutto in favore della vita, da tutti ricevuta totalmente gratuita, con l’onere di accoglierla, di amarla e di innestarla in Cristo, la vera Vite che ci immedesima e ci trasmette la sua stessa vita. Il ‘desiderare la morte’ quindi non è suicidio. E’ essere sempre pronti, con i sandali ai piedi e cintura ai fianchi, per uscire dal tempo e fare il nostro solenne ingresso nel SEMPRE di Dio da cui siamo venuti. Come l’emigrante desidera tornare alla sua madre terra, così noi: in animo abbiamo il desiderio di tornare a casa, ma con le mani piene dei buoni frutti del nostro giardino. Più si desidera di tornare a Dio (questo è il significato della morte per chi crede nella risurrezione), e più si vuole riempire la vita di giorni vissuti con la creatività che fa amare, non solo ciò che è clamoroso, ma anche le piccole cose, compiute per il bene del presente. Allora, con san Paolo, posso desiderare la morte per rinascere in Colui che è il Vivente, il Risorto. Tutti gli altri argomenti che ci portano a parlare del come e del quando morire, sono legittimi purché si salvi
no le poche, ma fondanti verità e cioè:
che la vita è un dono; che non sono io il padrone, ma un saggio amministratore del dono. Io: generato per generare, amato per amare, sbocciato per far sbocciare altra vita, possibilmente migliore della mia.
Amiamo la nostra vita. Non sentiamola come un peso ingombrante e da gettare. Difendiamola, curiamola, onoriamola fin quando è possibile, né dobbiamo egoisticamente trattenerla con accanimento. Poter chiudere le labbra, dicendo al Dio della vita:‘Grazie’.
don Rinaldo Sommacal