Omelie

Omelia del 7 settembre 2014 - Domenica XXIII per Anno (A)

Benedetto XVI diceva di preparare l’omelia della domenica, meditando le letture già dal lunedì precedente. E’ quello che dovrebbe fare ogni celebrante omileta. E’ quello che faccio anch’io, calendario permettendolo.

Dal lunedì alla domenica, ogni Parola di Dio conosce il ritmo del seme: lo accogli scarno e timido, lo semini in te con molti dubbi di riuscita, lo vedi spuntare a volte bello e vigoroso, spesso filiforme; alla fine te lo ritrovi fecondo. Se mi ostino ogni giorno a coltivare quel seme, me lo ritrovo davanti, diventato pianta adulta e ricca di ottimi frutti, perfino troppo numerosi per una sola omelia.

Una omelia non può e non deve dire tutto. Deve con umiltà, a seconda delle sue insite potenzialità, spulciare tra parola e parola, staccarla dall’albero come un frutto maturo e offrirlo agli invitati alla Cena.

Veniamo a noi. Cosa posso porgere a voi, oggi, dopo aver meditato per voi ed ascoltato con voi le tre letture?

E’ bella ed eloquente l’immagine che il Dio di Ezechiele usa per dire chi è colui che riceve ed accoglie la sua parola  E’ una sentinella. Qual è il compito della sentinella? Trasmettere fedelmente alla Città quello che sente e vede. La sentinella è valida solo se sa cogliere e trasmettere il vero a chi di dovere, senza personali commenti. Dio a Ezechiele, posto a sentinella  della Casa d’Israele, chiede: “Quando sentirai la mia parola, tu dovrai avvertirli da parte mia”.

Facciamo subito un piccolo e veloce esame di coscienza, che rivolgo a me per primo ed a voi. La Parola di Dio noi la sentiamo ed in abbondanza tutte le domeniche. Certamente siamo attenti come le sentinelle del Signore. Ma, fuori di chiesa, siamo capaci di fare quello che Dio chiese ad Ezechiele, cioè di essere a casa, nella contrada ed in Città, testimoni, con la vita e con le parole, di ciò che Dio dice a tutti, ma attraverso di noi?

La Parola di Dio, quale messaggio ci consegna oggi, come missione da trasmettere e da compiere nel quotidiano lì dove viviamo? Ci chiede di fare una cosa, forse la più delicata e difficile, dal Papa in giù, fino all’ultimo timorato di Dio. Ci chiede di chiamare tutti alla correzione fraterna ed a tutti i livelli. Correzione: parola seria; non indebita intromissione o sommario ed interessato giudizio delle azioni altrui. Chi corregge, deve farlo con un cuore che ama; se offeso, scevro dalla vendetta. Chi si ama, ama e perdona.

Chi viene corretto, come prima reazione proverà fastidio ed avversione. Poi ci ripensa, accetta il dialogo e tutti i mezzi che lo aiutano a pentirsi ed a correggersi. L’offeso a sua volta manifesti la capacità di perdonare.  Ce lo ricorda anche Paolo che cita il secondo precetto dell’amore: “Amerai il prossimo tuo come te stesso!”.

La correzione fraterna è solo un semplice optional? No! Gesù la chiede, la comanda, la sostiene e porta a vittoria chi la compie. Ma premette: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va ed ammoniscilo tra te e lui solo”. Cioè, prima si usi la discrezione; solo dopo si ricorra al difficile giudizio coram populo”. 

“Ascolta oggi la voce del Signore” ci fa dire il salmo. 

don Rinaldo Sommacal