Omelie
Omelia del 9 ottobre 2011 - Per Anno XXVIII
PER ANNO XXVIII - ANNO A - 2011
Isaia, il profeta, che più si avvicina alla perfezione, compiutasi in Gesù, la stessa Parola di Dio, oggi, con immagini popolari, comprensive a tutti, piccoli e grandi, colti ed analfabeti, ci rivela il futuro assoluto che Dio, fin dall'eternità, ha predisposto per quanti fanno, di sé stessi, attraverso una giusta e libera scelta di vita, un dono di ritorno a Colui che li ha creati. La mèta è il paradiso.
Il paradiso è immaginato come un banchetto.
I cibi che vengono, con generosità, enumerati, imbanditi ed offerti, sono tutti valori simbolici.
Si parla di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti, solo per mettere in movimento la nostra immaginazione.
Una volta lanciati nella creatività, noi, a seconda delle nostre capacità intellettuali, possiamo scoprire ciò che realmente sottintendono queste portate da sogno, soprattutto quando ad ascoltare, erano i più poveri che sognavano le delizie della tavola come il non plus ultra a cui tendere in tempi di fame nera.
Oggi la povertà si è spostata per la maggior parte di noi: da quella fisica, fatta di fame, di sete, di mancanza di casa, di denaro, di amicizie, di sicurezze, (che però spunta nuovamente qua e là), alla povertà psicologica, morale, intellettuale, affettiva, esistenziale.
Quelle grasse vivande, di cui parla Isaia, immagini di vita beata, possiamo chiamarle con nomi nuovi, come:
la gioia di vivere, l'essere accolti per come siamo, il saper accogliere con dolcezza e generosità chi ci sta vicino, il non rompere mai la rete della solidarietà, il cambiare il vocabolario che è fatto di parole negative, il portare a tutti i livelli la civiltà del rispetto reciproco, dove ognuno è un 'unico', il vincere il pessimismo.
Non so come, ma penso che tutti vorremmo vedere, anche a livello istituzionale, pur con progetti diversi, più stima reciproca, collaborazione sociale, rispetto e soprattutto che ogni persona rappresentativa, dal Papa al netturbino, si liberi dal peccato originale dell'egoismo, che inquina tutto e tutti e si lasci convertire alla vera giustizia sociale, prima figlia della verità, nella carità.
Insomma: Dio, per mezzo del profeta Isaia, ci manda a dire che ci ama e ci vuole tutti salvi, immersi in una eternità dove regnerà ogni bene senza alcun male e dove il bene, che abbiamo compiuto qui, diventerà la nostra stessa immagine.
Cosa fare per realizzare questo bellissimo progetto del Dio di Isaia, il nostro unico e vero Dio?
Ce lo dice, con un realismo sconcertante l'apostolo Paolo, l'interprete più alto del messaggio di Cristo, il nostro Traghettatore dalla terra al cielo, dal male al bene, dall'infelicità alla gioia, dall'odio al perdono, dal dispetto continuo al vero amore fraterno, fatto di mille piccole attenzioni, dove ogni istante è una scintilla di eternità.
Dice Paolo ai suoi, oggi a noi: "Tutto posso in Colui che mi dà la forza".
Chi può dire, con sincerità, 'tutto posso?'.
Non Paolo,che, come Saulo di Tarso, anche lui è fragile e peccatore come tutti i mortali.
Non il più perfetto degli esseri viventi, poiché tutti devono dire: "Sono una creatura che non ha nulla a vedere con la perfezione". Non certamente le singole autorità che, chiamate ad esercitare, a livello civile, amministrativo o religioso, il potere, dovranno, ad ogni livello, dire: "Anche noi siamo una fragile creatura, rivestita di bisogni e di debolezze.
Ecco la chiave che permette di entrare nella stanza di vita, entro cui Paolo dichiara: adesso 'tutto posso'.
La chiave sta nelle altre parole dette da Paolo: "Tutto posso, ma in Colui che mi da la forza".
Chi è quel 'Colui che mi dà la forza?'.
E' sempre e solo Dio.
E' quel Dio che, per farsi visibile e presente a tutti gli uomini di buona volontà, non ha esitato a farsi uomo, in tutto simile a noi.
Ma allora una cosa dobbiamo fare: riconoscere che siamo i mendicanti di Dio e che dobbiamo lasciarci invitare da chi parla a nome di Dio e risiedere alla mensa della Parola e dell'Eucaristia, con una rinnovata scelta interiore di vita. 'Beati gli invitati...'.
Mai cacciare da casa nostra Gesù. Ci faremmo del male.
Il parroco: don Rinaldo Sommacal