Omelie

Omelia del 25 settembre 2011 - Per Anno XXVI

PER ANNO XXVI - ANNO A - 2011

Ezechiele profeta ci rivela un Dio che ci convoca in giudizio.
C'è un complotto ordito contro di Lui.
Da chi? Da parte di un 'voi' che ci interpella.
Dobbiamo, allora, chiederci: "In quel 'voi', ci siamo anche noi?"
Credo proprio di sì.
Giudice ed imputato sono la stessa persona: Dio.
Gli accusatori sono quel 'voi', volutamente generico.
Può essere ogni persona che, in vita, si è trovata dalla parte di chi, in qualche modo, ha messo sotto accusa il suo Dio. Quale l'accusa?
La proclama Dio stesso e come giudice e come imputato.
Eccola: "Voi dite: non è retto il modo di agire del Signore".
L'accusa è grave.
La gravità cresce con il crescere della personalità dell'imputato.
L'imputato è Dio, quindi l'accusa si riveste di infinito.
Solo l'infinito la potrà giudicare, perdonare e distruggere.
L'accusa parte male, anzi malissimo, poiché suppone che Dio possa avere nei confronti nostri un comportamento ingiusto.
Quanti denigrano in qualche modo Dio, o direttamente o attraverso persone o associazioni, che pubblicamente credono in Dio, costoro non sanno di ferire a morte una verità, che anche la sola teodicea, una branchia della filosofia, scientificamente ammette come indiscutibile, cioè l'esistenza stessa di Dio.
Se ammetto l'esistenza di Dio, devo ammettere anche il tipo di natura che la stessa ragione Gli riconosce.
La teodicea, ma ancor più la teologia di ogni religione, giungono alla medesima conclusione: Se Dio c'è, come anche la ragione pura lo chiede, deve essere creduto come è, cioè un vero Dio e non un surrogato, suggerito dal nostro opportunismo.
Chi crede in Dio, deve necessariamente credere ad alcune verità che si possono riassumere in una sola affermazione: Dio è ogni bene senza alcun male.
Chi, pur dicendo di credere in Dio, poi si riserva la libertà di giudicarlo, criticarlo e condannarlo per certe cose non capite, costui va sì contro Dio, ma ancor prima va contro se stesso.
Chi, pur credente, dovesse ritrovarsi in quel 'voi dite: non è retto il modo di agire di Dio' , sappia che è caduto nel peggiore dei peccati che un essere intelligente può commettere: quello di accusare Dio di non essere Dio, ma uno di noi, con gli stessi limiti e difetti.
Ed ecco la svolta: chi volesse liberarsi da tale peccato, ascolti Dio stesso, l'imputato. Sentirà che Dio, più che difendersi dall'accusa, è preoccupato di salvare il suo accusatore.
Per mezzo del profeta prima e di Gesù Cristo nella pienezza dei tempi poi, Dio ci dice:"Se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso".
Che strana la sentenza di Dio, l'offeso!
Lo abbiamo messo sul banco degli imputati, forse anche per tentare di giustificare noi stessi, addossando a Dio le nostre colpe o i nostri fiaschi, le nostre presunzioni di innocenza.
Egli cosa fa? Ci indica la strada che ci porta dalla colpevolezza al pentimento fino a raggiungere la eterna salvezza.
Il vangelo, completando il profeta veterotestamentario, ci dice che anche noi, spesso, siamo dei 'sì' solo a parole e non con i fatti.
Quante volte ci affidiamo alle sole belle apparenze, come coloro che rispondono 'sì' a Dio fin dal mattino, ma poi, durante le ore della fatica, si fermano entro il loro orticello, ben difeso da quell'egoismo che sa rivestirsi di false innocenze e di vittimismo. Gesù incoraggia quelli del 'no' impulsivo che poi diventa interrogativo, esame, verifica, conversione per riemergere con scelte di vita che sono un voluto, cercato, sofferto e amato 'sì'.
Chi conosce queste lotte interiori che aiutano i singoli a decidere, nel silenzio, spesso nella sofferenza, le sorti della loro vita?
Colui che tutto sa, che tutto rispetta e che tutto vorrebbe portare a salvamento: Dio, il Padre di Gesù , lo Spirito Santo che ci dona il Cristo che ci porta al Padre.
Con Dio che ci capisce e ci sostiene, convertiamo tutti i nostri NO in splendidi SI.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal