Omelie

Omelia del 3 ottobre 2010 - Per Anno XXVII

PER ANNO XXVII - ANNO C - 2010

  1. Spunta oggi, con la pretesa di essere un protagonista, un umile profeta di nome Abacuc.
    Leggendo il piccolo brano che ci è stato proposto, stranamente lo sentiamo uno di noi, soprattutto quando, toccati da qualche difficoltà, come credenti, ma anche come miscredenti, ci rivolgiamo spontaneamente a Dio, gli chiediamo e questo e quello che riteniamo non solo utile, ma necessario, per abbattere l'ostacolo.
    Quasi sempre, come prima reazione, abbiamo l'impressione che Dio o non ci ascolti, o non ci voglia aiutare.
    Ma Abacuc non ci molla sulla strada della illusione fattasi delusione.
    Ci imparte una preziosa lezione che anche noi dobbiamo ascoltare e tradurre in convinzione.
    Risponde il Signore al rimprovero di Abacuc:
    "Se indugio, attendimi, perché certo verrò e non tarderò. Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede".
    Cosa imparare?
    Dal grido, quasi rabbioso, ma coraggioso di Abacuc impariamo che possiamo andare a Dio con qualsiasi abito, sia con quello della festa quando siamo nella gioia, sia con quello del lavoro, quando siamo oberati da mille impegni e problemi, sia con l'abito del mendicante, quando siamo a rischio di sopravvivenza. Dio ci invita a pregare sempre, anche in modo imperfetto, poiché, sia le gioie che i dolori devono diventare come una specie di ponte tra la nostra vita personale e Dio, che la vita continua a donarci gratuitamente, anche quando noi non lo avvertiamo.
    La risposta di Dio al nostro modo, a volte sbagliato, di chiedere ci insegna due cose:
    • che pregare è sempre una cosa molto buona, anche se imperfetta;
    • ma che, strada facendo, agli argomenti della ragione dobbiamo aggiungere anche gli argomenti della fede che ci insegnano che i modi ed i tempi di Dio non sono come i nostri;
    • che non dobbiamo mai dubitare che le nostre preghiere non siano accolte con gioia e con grazia da Dio.
  2. Ecco, allora, irrompere sul sentiero della preghiera, da farsi con fede, Gesù in persona.
    Prima di essere l'Emmanuele, Gesù era e continua ad essere il Verbo di Dio, cioè il Dio che si rivela a se stesso, il Dio che ha posto in essere fuori di sè, traendolo dal nulla, l'intero universo e in particolare la specie umana; il Dio provvidenza che, con dinamica intelligenza misteriosa, tutto fa sussistere ed evolvere; il Dio che, volendo intessere con noi un dialogo alla pari, si è fatto 'Parola umana', anticamente per mezzo dei profeti, anche per mezzo dell'umile Abacuc e, che, da ultimo, ha preso carne da Maria.
    Gesù, quindi, è il maestro che ci dice come dobbiamo pregare, per rendere efficace la preghiera.
    Infatti, la preghiera vera ha un potere straordinario.
    Con una immagine forte Gesù ci dice che, se avessimo fede quanto un granello di senape, quindi anche poca, ma vera, potremmo comandare ad un albero:
    "Sradicati e vai a piantarti nel mare".
    Ecco, allora, i due ingredienti necessari affinché la nostra preghiera sia vera ed efficace:
    • la totale partecipazione delle nostre facoltà umane, sia per gridare a Dio la nostra gioia e la nostra gratitudine, sia per chiedere grazie speciali, anche il miracolo, in casi di necessità esistenziali di persone che conosciamo;
    • ma quello che può sradicare l'albero della croce da questo o quel terreno doloroso è la nostra vera fede in Dio.
    Pregare è necessario, ma quello che dà l'efficacia alla nostra preghiera è la grazia della fede.
    La parola stessa lo dice: 'grazia', cioè dono gratuito di Dio;
    però, a sua volta, è messo in opera da quel seme, pur piccolo, ma autentico che ci mettiamo noi e che si chiama 'fede'.
    Qui si innesta un grandioso interrogativo: fin dove è la fede dell'uomo e fin dove è il dono gratuito di Dio che opera il prodigio? Ai teologi la dotta disquisizione. A noi pregare! Pregare sempre! Pregare con passione! Pregare con fede!

Il parroco: don Rinaldo Sommacal