Omelie
Omelia del 1 agosto 2010 - Per Anno XVIII
PER ANNO XVIII - ANNO C - 2010
- "Vanità delle vanità... tutto è vanità".
Così inizia la Liturgia della Parola di questa domenica.
Possiamo distinguere tra chi sceglie la vanità come scopo del suo vivere e del suo operare e chi, invece, pur non volendo essere un vanitoso, ne è, però, continuamente tentato.
Lasciamo perdere quanti scelgono la vanità, come fine della vita.
Vogliono essere sempre al centro dell'attenzione e della adulazione.
Non si aspettano da altri la lode.
Sono essi stessi a definirsi perfetti.
Normalmente si attorniano di "signor sì".
Il loro tallone d'Achille è la perdita di consenso.
E' difficile, forse impossibile portare il vanitoso per scelta a fare un uso discreto ed umile delle sue indiscutibili doti e benemerenze.
Ma la vanità sfiora tutti, anche quanti hanno fatto la scelta dell'umiltà: religiosi, preti, laici....
Dino Buzzati, al riguardo, scrisse uno splendido racconto.
C'era un monaco, straordinario per santità e saggezza.
Accorrevano a lui da ogni parte.
Vi andò anche un giovane pretino per confessarsi dal monaco.
Disse: "Quando mi chiamano "reverendo" provo una grande gioia.
Passarono gli anni e quel sacerdote ritornò. "Se c'è qualcuno che mi chiama monsignore, io.. io..., disse, provo una certa compiacenza".
Dopo dieci anni ritornò dal monaco e gli confessò: "Vede padre,... adesso...se qualcuno si rivolge a me chiamandomi eccellenza, io...". Passa altro tempo e l'eremita decrepito si vede davanti il solito prete, bianco e curvo anche lui.
Gli disse il monaco: "E adesso la gente come ti lusinga? Ormai ti chiama "sua santità" immagino".
Il prete con tono della più cocente mortificazione ammette il suo peccato ormai enorme di orgoglio.
Il monaco dentro di sé sorride. Tanto ostinato candore gli sembrava commovente.
Prima di morire il monaco chiese di vedere il Papa.
Vede da lontano avanzare la bianca figura. Si ferma davanti a lui.
L'eremita lo riconobbe: "Oh, sei tu mio piccolo prete".
La vanità: per rendere vera ed eroica l'umiltà, bussa alle porte di tutti, specialmente di quanti si propongono di vivere intensamente la vita, ma non per ricevere il plauso del mondo, bensì per amare e servire Dio e il prossimo, purificati dal filtro della umiltà. - La pagina del vangelo ci fa fare un salto enorme.
Uno chiede a Gesù: "Dì che mio fratello divida con me l'eredità".
Gesù non entra nel merito di quel caso, ma alza il richiamo contro la cupidigia. La nostra vita non dipende da ciò che possediamo. C'è da augurarsi che tutti possano avere il necessario e l'utile.
Ma i beni della terra restano alla terra e passano agli eredi.
Gesù denuncia una cultura che spesso si ripete anche oggi: accumulare sempre di più, per poter avere un futuro di grande benessere. Ma la morte non si fa attendere e non privilegia nessuno.
Ebbene: capita sovente che ci siano dei benestanti che muoiono più o meno improvvisamente, ma non hanno provveduto a scrivere le loro volontà testamentarie.
Quanta gente, a volte tra fratelli e parenti, per dividersi i beni dei genitori o dei parenti, si è data battaglia fino all'ultimo sangue.
Ci sono sempre dei professionisti o delle persone autorevoli, degne di fiducia, che possono aiutare a scrivere un valido testamento.
Ci sono leggi sacrosante che proteggono i diritti dei consanguinei, ma ci sono anche persone che non hanno stretti parenti.
Spesso capitali notevoli, che a parole si volevano evolvere in beneficenza, sono andati a finire in mano a sconosciuti che neppure ringraziano, né si ricordano di far celebrare una santa messa di suffragio per questi insperati benefattori.
"Cercate le cose di lassù" ci esorta l'apostolo Paolo.
I beni terreni non sono il fine, ma sono mezzi preziosi e necessari.
Chi, con i suoi beni, accumulati con onesto lavoro, riesce, in vita o in morte, ad aiutare i più bisognosi, costui si va costruendo una abitazione eterna nei cieli.
Il parroco: don Rinaldo Sommacal