Omelie
Omelia del 7 marzo 2010 - Quaresima III
QUARESIMA III - ANNO C - 2010
- La chiamata di Mosè, l'urgenza dei motivi, le resistenze del chiamato, l'autorevolezza del chiamante..., sono alcuni degli ingredienti della prima lettura di questa domenica di quaresima.
E' una pagina sempre attuale. Cambiano il contesto storico, i personaggi, i luoghi, ma pullulano i medesimi motivi.
C'è un popolo ridotto in schiavitù dal potere politico del paese.
Sono i discendenti di Israele, scesi in Egitto al tempo di Giuseppe, durante i sette anni della terribile carestia.
Prima accolti con nobiltà, alla fine furono ridotti in schiavitù.
Dio non può sopportare la sopraffazione di una persona sull'altra, di un popolo sull'altro, di una civiltà sull'altra, di una religione sull'altra, né sopporta le violente aggressioni di altri popoli.
Dio gridò e anche oggi grida: "Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido... sono sceso per liberarlo...".
Dio, però, sceglie di essere il liberatore degli oppressi attraverso gli stessi oppressi, perché sappiano riscoprire la loro dignità soffocata, ritornare popolo, rialzare la testa e tessere con tenacia e perseveranza, le tappe della liberazione.
Nel caso degli ebrei Dio scelse Mosè, che la provvidenza aveva salvato dalla morte certa, predestinandolo a diventare l'incarnazione per eccellenza del liberatore degli oppressi.
Mosè tentò tutte le strade per sottrarsi alla sublime, straordinaria, ma gravosa chiamata.
Alla fine, solo perché sentì in sé la presenza di Dio, si sentì fratello degli schiavi da liberare, capì che stava per compiere non la sua, ma la volontà del Dio dei suoi padri e il bene del suo popolo, scese in Egitto, per liberare gli ebrei dalla schiavitù. Essere un liberatore non fu, non è, non sarà mai un compito facile.
Situazioni di schiavitù, (magari non politiche, a volte scelte perfino come rivendicazione di libertà o contestazione verso certe regole di vita), ne troviamo sempre e ovunque, anche in famiglia, anche oggi. Già san Paolo, scrivendo alla giovane Chiesa di Corinto, ricordò la figura di Mosè, il liberatore, per dire che dovette fare i conti con un popolo, che a parole aspirava alla libertà, ma non sempre seppe conquistarsela con le dovute armi della libera obbedienza alle leggi morali, proposte da Dio stesso.
"Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro" scrive Paolo, facendo capire che l'operazione "liberazione" è sempre in corso e che, fintanto che ci sarà un uomo su questa terra, quell'uomo dovrà essere un combattente per la libertà, che non è "fare ciò che pare e piace", ma chiedersi che cos'è il vero bene e liberamente realizzarlo, anche a costo di lacrime e sangue. E se il vero bene è Dio? - Gesù, per dirci queste stesse cose, raccontò la parabola del fico ricco di foglie, ma sterile di frutti.
Nel cammino che ci porta costantemente verso la libertà dei figli di Dio, tutti dobbiamo concorrere in modo positivo, da protagonisti.
Gesù ci avverte che c'è sempre il rischio di essere dei parassiti.
I parassiti di professione sono coloro che sanno dire tante belle parole, simili alle foglie verdi del fico, ma non muovono un dito per cambiare la situazione e la loro vita personale.
Ci sono, anche, i "mormoratori" di professione: oltre a denigrare chi fa, magari con tanta fatica e sia pure in modo imperfetto, non sanno fare altro. Gettano il sasso e nascondono la mano vilmente.
Per fortuna ci sono i "Mosè", i meravigliosi mediatori che si mettono in ginocchio davanti a Dio, lo supplicano, perché non abbia da eliminare il povero, il debole, il peccatore, l'imperfetto, il pigro, lo svogliato... Fanno di tutto per prendere le difese di queste persone che effettivamente sono schiave di qualche situazione o imposta da altri, o miseramente scelta da loro stessi. Quante persone, là dove sono sorti vizi, che hanno fatto vittime tra i giovani, fino a renderli dipendenti del degrado, anziché fermarsi a denunciare, si sono date da fare. Dio loda ogni positiva contestazione in favore del debole, del perdente... "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrà messo il concìme" dicono costoro.
Quanti splendidi e spesso anonimi operatori, si sono dati da fare, non per condannare, ma per recuperare queste deboli vittime di sistemi antiumani, e rimetterli in libertà vera. Non so come, chi, dove... ma ognuno di noi è un Mosè "inviato" a liberare qualcuno...
Il parroco: don Rinaldo Sommacal