Omelie

Omelia 15 novembre 2009 - Per Anno XXXIII

PER ANNO XXXIII - ANNO B - 2009

L'anno liturgico volge al termine. Ci consegna le sue volontà testamentarie. Rivolge un richiamo forte, a tutti, specialmente a quanti hanno fatto i sordi davanti alla Parola di Dio, generosamente imbandita durante tutto l'anno che sta per finire.
La Chiesa, preoccupata come madre amorosa di portare a casa, sani e salvi tutti i suoi figli, usa oggi il linguaggio più incisivo, capace di scuotere anche i più distratti, il linguaggio apocalittico, fatto anche di paure e di salutari minacce.
E' un linguaggio ben presente nei libri sacri, che raccolgono la Parola di Dio seminata nei solchi dell'umanità durante la storia e fattasi visibile con l'incarnazione in Gesù della stessa Parola di Dio.
Normalmente viene introdotta con le espressioni usate dal profeta Daniele e riprese da Gesù, che fanno presagire un giudizio finale.
Dice Daniele: "In quel tempo...". Incalza Gesù: "In quei giorni...".
Per esperienza, sappiamo che la fine per eccellenza è la morte.
La morte non è mai sinonimo di gioia, bensì di dolore, di angoscia, di tribolazione, di resoconto, di premio o castigo.
Lo è sia per chi la vive in prima persona, sia per chi, con la morte, viene a perdere la presenza di una persona a lui cara, spesso più preziosa della sua stessa vita.
Per rivelare a noi, mortali, che c'è una conclusione più universale, cosmica, chiamata normalmente "la fine del mondo", e, con la fine, anche il giudizio divino sulla storia e sulle singole persone, Dio inviò i suoi profeti e da ultimo il figlio Suo, per dire a noi, superficiali e distratti, di non sprecare le occasioni, ma di fare della nostra vita sulla terra, un vero e proprio pellegrinaggio di salvezza verso Dio, camminando sulle strade che Dio stesso ci ha tracciate.
Rimettiamo entro alle nostre coscienze la mappa infallibile che guida al bene e rigetta il male, inviata a noi da Dio attraverso i profeti veri, presenti in modo particolarissimo entro il popolo santo di Dio che ha avuto in Abramo il suo padre, ma anche entro tutte le grandi religioni, sparse nel mondo ed illuminate da grandi veggenti e profeti, come ebbe a dire, alle porte dell'Estremo Oriente, l'allora sommo pontefice Paolo VI.
Noi, popolo di Dio, che non ha perso una sola parola degli antichi profeti, sgorgati dal seno paterno di Abramo, e che è il custode della stessa Parola di Dio che è Gesù, totalmente seminato nella Chiesa, dobbiamo avere un sussulto di vitalità e di vivacità nel riaccendere il faro luminoso che esce dai vangeli e, con coraggio e santo orgoglio, proiettarlo sul mondo intero, oggi quasi soffocato da una spessa coltre di relativismo, fino al nichilismo, per cui, a parlare forte è la debolezza della parola, mentre la Parola forte di Dio, anche causa la nostra incoerenza, è quasi muta, sconosciuta, spesso calpestata da chi la ha ricevuta in custodia.
Il richiamo forte non è per far paura, ma per riaccendere in noi la riscoperta di essere immortali e destinati ai paradisi eterni.
Se quella è la nostra meta, riaccendiamo i motori della nostra nobiltà e riavviamo la gagliarda e gioiosa competizione della riscoperta dei valori positivi della vita.
Trasformiamo la nostra terra in un ritrovato Eden, dove regna a beneficio di tutti e di ciascuno la civiltà dell'amore, ben lontana dal quietismo, ricca, invece, di quell'inventiva che scaturisce dalla gioiosa competizione di tutti i talenti, distribuiti con sapienza tra tutti gli uomini di ieri, di oggi e di domani.
Né ci sia qualcuno che abusi del tono apocalittico per spargere quella paura che diventa una invisibile rete psicologica, tesa da certe sètte pseudoreligiose che mietono proseliti predicando la fine del mondo per tutti, eccetto che per loro.
Gesù, a tutti e, in particolare, a costoro, ripete: "Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre". Nessuno, quindi, può profetizzare il quando e il come della fine del mondo.
Con quale abito nunziale vogliamo presentarci a Dio alla fine della nostra vicenda terrena, che Gesù profetizza come una festa, come un invito a nozze?
Sia Gesù il nostro abito nunziale. Rivestiamoci di Lui. La lettera agli Ebrei di Gesù dice: "Con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati", cioè noi.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal