Omelie
Omelia del 16 agosto 2009 - Per Anno XX
PER ANNO XX - ANNO B - 2009
Entro la scia tracciata dal capitolo sesto di san Giovanni apostolo, questa domenica ci porta nel cuore del discorso eucaristico.
Il discorso parte da lontano, raccogliendo tutti quei passaggi profetici che furono inviati da Dio agli uomini, perché gli uomini si preparassero a ricevere il pane della vita in persona: il Messia.
Dobbiamo riconoscerlo: seguire Gesù quale operatore di miracoli era la cosa più facile del mondo. Lo fu allora e il fenomeno si ripete oggi: se in qualche parte del mondo si verifica un miracolo, lì si riversano le folle.
Ma la netta volontà di Gesù non è quella di attirare la gente a suon di miracoli. Quella non è fede vera.
Se li compie, è perché vuole che la gente faccia un salto di qualità nei suoi confronti.
Lo disse e continua a ripeterlo, nel capitolo sesto di san Giovanni: "Voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati".
Gesù non vuole saziarci con il pane del corpo.
Se lo ha fatto in una eccezionale circostanza, lo ha fatto perché diventasse un "segno" per un enorme salto di qualità: il passaggio dal pane per il corpo al pane per la vita eterna.
Di domenica in domenica abbiamo sentito Gesù condurre i suoi uditori sempre più in alto e sempre più per un discorso radicale.
Alla fine esplose: "Sono io il vero pane di vita. Chi vuole vivere la vita vera e vincere la morte, deve venire a me, credermi totalmente e fare quello che avete fatto con il pane che vi ho moltiplicato: mangiarmi, poiché io sono il vero pane disceso dal cielo, non quello che viene dalla terra, ma quello dato da Dio stesso".
A questo punto lo scontro dialettico si fa drammatico. Diventa un duello all'ultimo sangue, che significa: "O accogliete quello che vi dico e lo prendete alla lettera, o non potete dirvi miei discepoli".
Gesù, dopo aver detto che la manna data al popolo nel deserto non fu data da Mosè, ma da Dio, subito aggiunse: "Anche la manna fu un segno profetico del pane che Dio avrebbe dato nella pienezza dei tempi. Oggi la pienezza dei tempi è giunta. Dio ha donato all'uomo il nuovo pane promesso. Questo nuovo pane sta davanti a voi. Questo pane sono io".
Poi Gesù innesta la marcia che impone il cambiamento radicale: chiede di cercarlo non perché è un taumaturgo, ma perché è Dio.
Dopo aver ripetuto per l'ennesima volta "Io sono il pane vivo disceso dal cielo, se uno mangia questo pane vivrà in eterno", Gesù con un linguaggio duro, durissimo, nuovo, che non esiste nel vocabolario dell'uomo e inaugura una cultura della parola del tutto impensabile, disse: "Il pane che io darò è la mia carne".
Si scatenò la reazione tra la folla: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?".
Ed egli, senza retrocedere di un millimetro, anzi affondando il discorso, soggiunse giurando: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita".
Poi, rivolto ai suoi futuri credenti, affermò con l'autorità che gli veniva dall'essere Dio: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Gesù incalza e non permette alla gente di ribattere, di interrogare, di commentare.
Ormai deve andare fino in fondo.
A dopo la scelta: o credere, o dubitare, o rigettare.
Al momento bisogna battere il ferro finché è caldo e aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui".
Ma quale degli evangelisti ha il coraggio di riportare un discorso così rivoluzionario?
E' Giovanni, presente al discorso, ma presente anche il giovedì santo, quando, Gesù, davanti ai discepoli sbalorditi, avverò questa verità nel modo più dolce e accettabile, dicendo sul pane: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo" e così sul vino, racconto riportato dagli altri evangelisti, Matteo, Marco e Luca.
Ecco il potere dei segni sacramentali: rendere possibile a Dio ciò che è impossibile all'uomo. "Mistero della fede!".
Il parroco: don Rinaldo Sommacal