Omelie
Omelia di domenica 30 settembre 2007 - Per Anno XXVI
PER ANNO XXVI - ANNO C - 2007
- Sia il brano di Amos profeta che la parabola evangelica, raccontata con dovizia di particolari da Gesù, sottolineano i vizi di quanti, nati nella ricchezza, accumulata da altri, magari con meritevole lavoro, fanno della loro vita oziosa una continua goduria, così da inverare il detto che qualcuno vive per mangiare.
Qui non si tratta di quel legittimo godimento che è il frutto di una conquista di valori intellettuali, morali, sportivi, artistici, spirituali.
Qui non si tratta di quel giusto nutrirsi e ricrearsi, allo scopo di essere in forze per tornare a fare della nostra vita un investimento di valori che moltiplica il valore della persona e della società.
Si parla, invece, di quel modo quasi animalesco di godere che porta al degrado, fino al punto che lo spirito si spegne, la ragione si ottunde, i sensi diventano insaziabili e la persona perde la propria identità. Ognuno vi metta quel vizio che crede e vede.
A questi vizi potremmo arrivarci tutti, se predominasse in noi, anziché il vero senso della vita, la spensieratezza, come dice Amos.
"Guai agli spensierati...!" ci ammonisce la Parola di Dio.
Gli spensierati, come narra la parabola, sono egoisti che sentono solo la voce dei loro istinti, accontentano se stessi e non sopportano la vicinanza di molesti mendicanti, disturbo alla loro spensieratezza.
Per gli spensierati i poveri, oltre ad essere un incomodo, sono da considerarsi come una specie inferiore, da affidarsi alla compassione dei cani. - Ma inesorabile arriva la morte.
Parola spaventosa per i gaudenti.
Non la vogliono nominare quando sono giovani e pieni di vigore.
La paventano quando arrivano i primi segni del cedimento.
Pagano dei bugiardi guaritori, perché continuino ad illuderli che non è niente, che si tratta solo di malori passeggeri...
Ma nessuno può comperare l'immortalità e la salute permanente.
Non c'è tangente che riesca a corrompere la morte.
La morte arriva, sia per il ricco epulone che per il povero Lazzaro.
Mentre in vita il primo accumulava errori su errori, deridendo ogni senso morale, perché, chi può pensa che tutto gli sia legittimo, la morte lo spoglia di ogni falsa difesa e lo mette davanti al giudizio finale che passa al setaccio pensieri, parole, opere e omissioni.
Si sente improvvisamente nudo e processato dalla sua coscienza.
La giustizia, calpestata in vita, riprende il suo ruolo di bilancia infallibile: merito al merito, demerito al demerito. Non c'è bisogno che sia Dio a dichiarare fallito lo spensierato.
Gli basta la sua ragione ritornata a saggezza.
Infatti il ricco della parabola non rimprovera nessuno per la pena subìta. Riconosce di essersela costruita con le sue crapule.
Chiede solo un po' di clemenza, per alleviare il tormento della sua anima, che continuamente gli rinfaccia: "Stolto, cosa hai fatto del dono della vita e delle ricchezze avute in eredità?". L'ex epulone ha un sussulto tardivo di conversione. Non può tornare indietro, ma prega perché gli sia concesso di aprire gli occhi ai suoi fratelli che stanno esattamente commettendo gli stessi errori, inebriati dalla spensieratezza che rende miopi ed egoisti. "Abramo, manda Lazzaro dai miei cinque fratelli, perché si ravvedano e non vengano in questo luogo di tormento" chiede l'epulone.
La risposta di Abramo, che è di Gesù, è inquietante: "Neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi". E' una frase forte.
Ci fa capire che ci possono essere delle sbagliate prese di posizione in questa vita che resistono anche di fronte all'evidenza.
Cosa di più forte di uno che risuscita, per dire che c'è l'al di là, che l'al di là sarà esattamente come ce lo siamo meritato con l'al di qua? Tragica l'ostinazione di chi nega l'evidenza.
Noi abbiamo la fortuna di credere in Gesù risorto che ci dice: esiste la risurrezione dei morti, esiste la vita eterna.
Come mai anche molti cristiani continuano a convivere con il dubbio che non ci sia la risurrezione dei morti e la vita eterna?
"Combatti la buona battaglia della fede e cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato" comanda l'apostolo Paolo al suo amato discepolo Timoteo e ad ognuno di noi. Così sia!
Il Parroco: don Rinaldo Sommacal