Omelie
Omelia di domenica 12 agosto 2007 - Per Anno XIX
PER ANNO XIX - ANNO C - 2007
- Il libro della Sapienza fa memoria dell'intervento prodigioso di Dio che liberò il suo popolo dalla schiavitù faraonica.
Dialogando con il Signore, il saggio veggente dice: "La notte della liberazione, desti al tuo popolo una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto e come sole innocuo per il glorioso migrare".
La situazione storica, a cui si riferisce il brano, è la triste condizione di schiavitù in cui venne a trovarsi in Egitto il popolo ebreo e dalla quale lo liberò la mano forte di Dio.
La schiavitù viene paragonata alla notte.
Per permettere agli schiavi di lasciare la notte dell'Egitto e non essere sopraffatti dal potente esercito del Faraone, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Mosè, il Dio che si fa chiamare IO SONO, cosa fece?
Si rese presente attraverso una colonna di fuoco, nube che si frappose tra i fuggiaschi e gli inseguitori.
Per gli ebrei era "colonna di fuoco" ed illuminava la strada; per gli egiziani era caliginosa e tenebrosa, impedendone il cammino.
Questo episodio permette all'autore sacro di spaziare su una visione universale dell'uomo sulla terra e sul suo brancolare nelle tenebre se non si affida a Dio e se Dio non interviene a liberarlo.
L'uomo, che sceglie di fare storia da solo, confidando nelle sue sole forze, è destinato a rimanere nella notte.
Anche nella notte qualche barlume c'è, qualche stella più luminosa lo orienta, qualche notte di luna piena gli permette di fare qualche buon passo. Ma nel suo complesso, l'uomo sulla terra, senza Dio è una vita solo notturna. Lo sa Dio che ha fatto l'uomo per la luce.
Lo sa Dio che all'uomo ha dato immense capacità per conoscere, per scegliere e per realizzare il suo sogno di libertà.
Ma Dio sa anche che l'uomo non è il sole e che del sole ha bisogno, come un pianeta.
La colonna di fuoco che può dissipare le tenebre dell'ignoranza, quindi liberare dalla schiavitù intellettuale e morale, questa luce viene solo da Colui che è la "colonna di fuoco", Dio. - Ecco allora fare il suo ingresso nella storia dell'uomo, la necessaria, indispensabile, insostituibile alleanza con Dio.
L'uomo, per sua intrinseca natura, perché così l'ha voluto il suo Creatore, ha bisogno assoluto di entrare in dialogo con Dio.
Se entra in conflitto con Dio, l'uomo distrugge se stesso.
Se lo ignora, è destinato a brancolare nella notte.
Se entra in rapporto con Dio, sapendo che Dio è il Creatore e lui la creatura, allora per l'uomo si accende la "colonna di fuoco", che ha svariati poteri: illuminare la mente, accendere il cuore, smascherare gli errori, difendere dalla menzogna, guidare per strade giuste, liberare il piede dalle insidie tese dal maligno, ecc.
Come chiamarlo questo rapporto cosciente, libero, gioioso, destinato a crescere di generazione in generazione, che permette all'uomo nella storia di capire sempre più, di progredire e di avvicinare la terra all'immagine del paradiso, nella certezza di passare dal tempo all'eternità?
Ce lo dice, con grande bellezza, il brano tratto dalla lettera agli Ebrei. Il suo nome è "fede", dono di Dio all'uomo.
E' un dono condizionato dalla libertà dell'uomo.
Dio si dona. Si dona a tutti. Per tutti c'è un Dio che viene.
Ognuno deve individuare la sua strada, la sua disponibilità, il suo andare a Dio, il suo "sì".
Attraverso la fede, ovunque sia, chiunque sia, l'uomo entra in rapporto con Dio, che, per quanti nomi gli si diano, è sempre e solo l'unico vero Dio che ripete: "Non avrai altri dei all'infuori di me". - Ma noi, visitati da Cristo, il figlio di Dio, siamo passati dalla colonna di fuoco che è presente in ogni fede, dalla fede in Dio che è presente in ogni religione, alla religione rivelata che ci ha fatto passare dalla pura fede intellettuale, alla condivisione ontologica della natura di Dio, diventando suoi figli, sua famiglia.
Possedere il Dio di Gesù Cristo nelle nostre carni è cosa sublime, inenarrabile, strepitosamente bella, meta di ogni fede.
Abbiamo un Dio che viene. Com'è la nostra accoglienza?
Il Parroco: don Rinaldo Sommacal