Omelie

Omelia di domenica 17 dicembre 2006

AVVENTO III - ANNO C - 2006

  1. La prima parte della liturgia della Parola di questa terza domenica d'Avvento è letteralmente bombardata da un grappolo di verbi all'imperativo che l'apostolo Paolo sintetizza con: "Rallegratevi". Non bastasse, aggiunge: "Ve lo ripeto ancora, rallegratevi".
    Il profeta Sofonia non è da meno. Ben prima di Cristo, quando l'alleanza Dio-uomo era imperfetta e spesso deludente per le troppe infedeltà del popolo eletto, così comanda: "Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele e rallegrati con tutto il cuore".
    1. Chi non sente il richiamo alla gioia?
      Chi, nel presentare una sua opinione, nel formulare una proposta anche politica, nel reclamizzare un prodotto, nel promuovere e nel lanciare una iniziativa di popolo..., non promette gioia, successo, felicità, gaudio...?
      Non è, quindi, una novità se anche la religione, in particolare il cristianesimo, nel proporsi al popolo, promette a quanti l'accolgono, quello che tutti cercano: la felicità.
    2. Ma la sostanziale differenza che sta tra la felicità promessa dall'uomo e quella promessa, anzi comandata, da Dio, sta nell'oggetto che una volta posseduto, nel messaggio che una volta accolto, cambia la vita in un intramontabile stato di allegrezza.
      • La gioia promessa da un prodotto, da una iniziativa, da un progetto socio-politico, da una qualsiasi scelta temporale ecc., anche se vera, è però limitata, passeggera, fragile. Ben presto può anche deludere, perché in gran parte si fonda su illusioni.
      • Quella promessa, anzi comandata dal Dio di Abramo e dal Dio di Gesù Cristo, (che genera allegrezza e che fa vincere ogni paura, pur rimanendo fragili, coscienti delle proprie debolezze, mortali, mai superuomini, mai onnipotenti...), non è una gioia passeggera, e, se ben capita e accolta, non va incontro a delusione.
        La gioia, del credente in genere e del cristiano in particolare, è parte integrante della sua stessa vita, poiché irrompe vivace dalla stessa sorgente della vita, che è per sua natura gioia, gioia piena, gioia che cresce con il crescere dei suoi bevitori, sete appagata e che non sazia, gioia che porta alla felicità anche chi si sente visitato dal dolore o inchiodato a qualche dura croce.
        Chi è questa sorgente inesauribile della gioia, i cui bevitori, se aumentano di numero, ne accrescono le potenzialità?
        Qui si erge il vallo di divisione tra la gioia promessa, anche in forme nobili, dal mondo, dall'uomo, con le sue sole forze, e la gioia comandata e data dal Signore ai suoi adoratori.
        Mentre la gioia che deriva dalle nostre viscere ha i nostri limiti e non può mai essere il paradiso, la gioia che viene dalla vera fede in Dio, quella non inventata dall'uomo, quella rivelata da Dio stesso, è gioia sconfinata, onnipresente, vincente, diversificata secondo le singole esigenze e i meriti personali.
        La gioia non è un dono di Dio, ma è Dio stesso che si dona. Dobbiamo gridarlo forte: Dio è la gioia! Di Dio abbiamo bisogno!
        Chi crede, si tuffa in grembo a Dio. Dio ci ha fatti per Dio.
        Se liberamente noi entriamo in Dio, per la strada che è Gesù Cristo, noi siamo in Dio, nella vivace e intramontabile sorgente della gioia.
  2. La fede ci insegna le strade da percorrere per incontrare Dio, fino a diventare un tutt'uno con Lui. Quali le cose da fare?
    Alla nostra domanda: "Cosa dobbiamo fare?", risponde il precursore di Gesù, Giovanni il Battista: "Guardatevi attorno e guardatevi dentro".
    • Attorno a noi ci sono i molti volti di Dio impressi nel volto dei nostri fratelli che hanno bisogno di noi per tornare a sorridere.
      Se li amiamo, li aiutiamo, li accogliamo, noi ci portiamo in casa il comune Fratello, Gesù, e il Dio di Gesù Cristo, che vuole essere chiamato da noi "Abbà! Papà".
    • Ma per amare, dobbiamo amarci.
      Spogliamoci dei nostri falsi ideali, dei nostri idoli per i quali viviamo, sogniamo, fatichiamo, ci consumiamo, raccontandoci bugie per persuaderci che siamo felici.
      Conosciamoci meglio, liberiamoci da certe zavorre, riscopriamo la leggerezza e la bellezza della fede che non è una abitudine, ma è il modo genuino di vivere. Torneremo a sorridere.

Il Parroco: don Rinaldo Sommacal