Omelie

Omelia di domenica 12 novembre 2006

PER ANNO XXXXII - ANNO B - 2006

Tra Elia, il profeta che ebbe il privilegio di apparire accanto a Gesù, con Mosè, sul monte Tabor, il giorno della trasfigurazione, e la vedova di Zarepta, intercorre un dialogo tanto sofferto quanto illuminante. Sofferto, poiché entrambi partono alla pari da una posizione di assoluto bisogno. E' il bisogno che condiziona tutti, la fame, peggiorata dalla carestia per siccità, che devasta la regione.
"Prendimi un po' d'acqua... Prendimi anche un pezzo di pane" chiede il profeta alla donna.
La vedova risponde:"Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina".
Ed ecco la svolta illuminante.
Elia, il nullatenente, l'uomo di Dio, capace di credere, anche quando i capi e l'intero popolo gli sono contro e peccano di idolatria, in nome della fede sfida l'impossibile e con determinazione dice alla donna: "Non temere, su fa come hai detto, ma prima prepara una piccola focaccia per me e portamela".
Su cosa si fonda l'impossibile richiesta di Elia?
Sulla fede in Dio. Infatti profetizza:"La farina della giara non si esaurità e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore non farà piovere sulla terra". Impossibile all'uomo, ma non a Dio.
Alla proposta di fede di Elia, venne la risposta di fede della donna.
Miracolo!
"Mangiarono Elia, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni".

Una riflessione balza alla mente di noi, popolo scettico per cultura, basato sulla conta dei mezzi materiali più che sulle virtù teologali, per risolvere i problemi nostri e della società.
E' doveroso che ci sia, al governo, chi sa amministrare, provvedere, distribuire, richiedere, promuovere il benessere temporale con una saggia, giusta ed equa amministrazione.
Ma c'è una fame e una sete di virtù morali e spirituali, ancor più necessarie del pane e dell'acqua, che non si risolvono con il solo amministrare le ricchezze materiali.
C'è fame di pensiero, di interiorità, di ideali puliti, di libertà vera, di pace condivisa, di fraternità purificata dai pregiudizi, ecc.
Ma il cibo che può regolare e soddisfare questa fame e questa sete non viene dai beni materiali, di cui il mondo peraltro è ricco.
Ciò che manca oggi sono i valori che fanno nascere gli ideali e li fanno diventare cibo e bevanda per gli uomini di buona volontà e fanno uscire l'uomo dalla tristezza e dalla aridità del pragmatismo. Ma, a loro volta, i valori morali non si librano nell'aria, quasi fossero delle monadi, pronte all'aggancio casuale con noi.
Noi credenti dobbiamo avere il coraggio di dire a noi stessi e a quell'ottuso mondo culturale, che non vuol parlare di Dio e che anzi è nettamente ostile a Dio, che il cibo che può risolvere la fame spirituale, intellettuale, morale e, di conseguenza, anche materiale del mondo è proprio la fede in Dio, incarnata in Gesù, suo figlio.
La vera fede non è mai contro, anzi promuove le qualità temporali, chiamate ad amministrare i beni.
Soprattutto sa entrare nel cuore e nell'anima della gente.
Sa promuove ed esaltare la generosità della vedova del tempio di Gerusalemme e sa giudicare molto severamente quanti alla fame del mondo offrono solo qualcosa del loro superfluo, aspettandosi onorificenze e lapidi commemorative.
Per capire queste verità non è sufficiente usare il metro dell'economia e della scienza. La vedova sarebbe bocciata.
E' sempre più necessario che l'uomo si misuri con Dio e che Dio sia il criterio primo e ultimo dell'uomo e gli insegni cosa significhi farsi dono anziché chiedere doni.
Dio ci vuole amministratori saggi anche dei beni materiali.
Ma non si diventa re dei fratelli se prima non si è percorso la strada del servizio ai fratelli.
Si riveste di autorità colui che, come Cristo, ha saputo essere prima il sacerdote dei bisogni altrui, pagando di persona.
Si viene così ad edificare quel nuovo tempio non più fatto di pietre, ma di persone, di cui la vedova, lo dice Gesù, è maestra.
Essere gli uni per gli altri e sacerdoti e re: servi e guide.
Chi sa donarsi agli altri, saprà governare saggiamente se stesso.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal