Omelie

Omelia del 26 luglio 2009 - Per Anno XVII

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PER ANNO XVII - ANNO B - 2009

La prima lettura narra un episodio successo al profeta Eliseo in un tempo di estrema povertà.
Si presentò a lui un uomo senza nome.
Donò ad Eliseo venti pani d'orzo, tutto ciò che aveva, perché egli ed i suoi cento discepoli avessero da mangiare. Quello d'orzo era il pane dei poveri. Tutti mangiarono e ci fu pane in avanzo.
Il vangelo è sulla stessa lunghezza d'onda.
L'emergenza non è dovuta alla povertà, ma ad una eccezionale circostanza. Una "grande folla", cinquemila uomini, senza contare donne e bambini, da molte ore seguiva Gesù, lontana da casa.
Un altro evangelista dice che, giunta la sera, i discepoli suggerirono a Gesù di congedare la folla, perché tutti ritornassero a casa. Anche noi, in analoga circostanza, avremmo dato a Gesù lo stesso consiglio.
E' quello che, in tempo di crisi economica, cercano di fare tutti i normali amministratori: allontanare le troppe bocche affamate, attirate dal benessere accumulato negli anni delle "vacche grasse".
Gesù no. Gesù incalza i suoi discepoli, perché non respingano l'urgenza, ma, nell'urgenza, sappiano vedere e imboccare le strade che portano l'umanità a sconfiggere le paure e gli egoismi, con la positiva e creativa arma della provvidenza, forgiata con le invincibili virtù della fede, della speranza e della carità unite a intelligenza e volontà.
Se "provvidenza' è uno dei nomi di Dio, i promotori di provvidenza, nei tempi calamitosi, saranno anche scomodi, ma sono coloro che sanno scrivere i nuovi capitoli del progresso, che nascono quando la necessità aguzza l'ingegno e rasenta la capacità di compiere miracoli. Cos'è successo a Gesù? Si trovò davanti ad una grande emergenza: sfamare una moltitudine e non averne i mezzi adeguati. Filippo, fatti i conti della borsa tenuta stretta da Giuda, disse al Maestro: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzetto".
Quel momentaneo ministro del tesoro, con questo logico e impeccabile ragionamento, volle suggerire a Gesù di allontanare la folla e che ognuno si arrangiasse. Gesù non ignora, ma non allontana il problema.
Gesù si lascia interrogare dall'emergenza.
E'di grande attualità questo stupendo brano evangelico.
Con sorpresa, nel bel mezzo della crisi, si vede spuntare, non un banchiere o un facoltoso negoziante, ma un ragazzino anonimo, che dona a Gesù la sua provvidenziale merenda al sacco. Cinque pani d'orzo (il pane dei poveri) e due pesci del lago.
Fu Andrea, il fratello di Simon Pietro, a scoprire il ragazzo e la sua piccola provvista. Concluse, però: "Ma che cos'è questo per tanta gente?". Fu un ragionamento saggio, ma non una soluzione.
Gesù raccolse i pareri e le proposte di tutti.
In tempi burrascosi, è necessario sollecitare, ascoltare e ragionare.
Deleterio sarebbe montare la crisi con l'intento, non di risolvere i problemi, ma di fomentare divisione, per secondi fini.
"Cinque più due fa sette. Ma qui ci sono più di cinquemila persone. Non ci resta che licenziare la folla" direbbe ogni saggio e prudente amministratore. Invece Gesù non licenzia e non respinge nessuno.
Fa sedere la gente sul soffice tappeto d'erba. Tutti si sentirono degli invitati speciali. Lo avevano cercato ed ascoltato con altra fame e sete. Gesù si mise in preghiera e invitò tutti a rende grazie a Dio.
La fede in Dio si fece pane per l'uomo.
Il prodigio si realizzò. Tutti furono saziati.
Raccolsero per i poveri ben dodici canestri di pane avanzato.
Cosa imparare? Gesù insegna molte cose con questo segno:

  • che le crisi di ogni tipo sono e saranno una costante positiva nella vita dell'uomo sulla terra;
  • che le crisi non vanno affrontate con il panico di chi non crede nella provvidenza, ma con nervi saldi, con adeguata competenza e con l'umiltà di chiedere il contributo di tutti: di Dio e degli uomini;
  • che nella crisi non deve trionfare l'egoismo e la sclerosi delle minoranze benestanti che si difendono chiudendo la borsa e suscitando la rabbia del povero e del disoccupato; le crisi scuotano positivamente le coscienze;
  • che, per paura del nuovo, non si butti via quello che i poveri di solito hanno: la giovinezza, la capacità di soffrire e, nella sofferenza, la capacità di liberare la positiva violenza creatrice della intelligenza; gli italiani emigrati per povertà negli anni quaranta, cinquanta... del secolo scorso, divennero ricchezza per tanti;
  • che non si riduca la ricchezza al solo progresso economico, ma si riveda quello che deve stare alla radice di ogni vero benessere e che papa Benedetto ha riassunto nella sua ultima straordinaria lettera enciclica che, nel titolo, è già capace di dire tutto: "Carità nella verità".

Tutti dìano il poco che hanno con amore.
Il vero amore genererà progresso vero per tutti.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal