Omelie

Omelia di mercoledì 1 novembre 2008

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TUTTI I SANTI - ANNO A - 2008

Il vangelo delle beatitudini, in decisa controtendenza con quanto predicano i venditori di felicità immediata, spesso anche trasgressiva, traccia la scala a pioli, molto impegnativa, salendo la quale ci si troverà entro a quella "moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua", il popolo della beatitudine sempre piena, sempre nuova, mai noiosa.

  1. Il primo piolo della scala che porta dalla valle di lacrime al monte delle beatitudini si chiama "povertà spirituale".
    La povertà materiale, che è ai confini con la miseria, imposta dalle terribili situazioni territoriali, ma a volte dovuta alle personali disavventure o alle colpe sociali, non può mai chiamarsi beata.
    I poveri in spirito, liberi dall'ingordigia, sono gli unici capaci di sollevare l'indigente e metterlo sul binario della dignità umana.
    I ricchi di denaro e di idee, gli amministratori del mondo, non si accontentino di versare in elemosina la classica monetina scaccia rimorsi, ma si diano da fare per risolvere quella atavica povertà che allarga i confini della miseria, proprio a causa dell'egoismo dei ricchi, che non poche volte investono nel terzo e nel quarto mondo, sfruttando il territorio e la manodopera per trarre profitto personale più che per liberare i popoli dalla miseria.
    La beata povertà di cui parla il vangelo, è quella dello spirito.
    Se tutti arrivassimo a conoscere meglio gli innumerevoli beni, disseminati nel pianeta; se tutti fossimo capaci di trafficare i talenti che sono stati dati ad ogni persona umana per il progresso di tutti; se tutti avessimo da considerarci patrimonio dell'umanità e come tali, fossimo capaci di vivere ed operare, non per sottrarre il necessario ai poveri, ma per aumentare il bene di tutti, noi avremmo messo il piede sul piolo giusto della prima beatitudine e con gioia ci saremmo avvicinati al secondo piolo.
  2. "Beati i miti" porta scritto il secondo gradino.
    La mitezza non è una debolezza, come il suo contrario, cioè l'arroganza, non è mai una virtù. La mitezza è la virtù dei forti, capìta solo dagli intelligenti.
    I miti sono come i fili di seta preziosa: duttili e resistenti, si confrontano con tutti, non provocano ad arte attriti, rispettano e, se necessario, accolgono la parte preziosa anche degli avversari.
    Nella vittoria non stravicono, nella sconfitta non disperano.
    L'esempio dell'uomo mite è Gesù, che, superiore a tutto e a tutti, senza ricorrere alle dodici legioni di angeli, subì la cattura, l'ingiusto processo, la condanna a morte e la crocifissione la più infamante. La sua mitezza brillò così sfolgorante, forte e vittoriosa da far esclamare al Centurione romano, che guidava il plotone di esecuzione: "Veramente quest'uomo era figlio di Dio".
    Solo il vero mite è capace di sapere che cos'è la verità, perché non è accecato dall'egoismo che inquina e condiziona tutti i giudizi.
    Solo il mite è capace di convertire in strada di beatitudine eterna l'umiliazione temporale che gli capita addosso, causa chi, non sapendo perdere, usa l'arma della vendetta, a volte grossolana, spesso sottile, capace di carpire consensi anche tra gli amici.
  3. Poi viene il piolo della giustizia. Chi può dirsi "vir iustus"? Nessuno. Ma, per essere giusti, tutti dovrebbero essere i discepoli della giustizia.
    Siccome la giustizia è la prima figlia dell'amore, per diventare persone giuste è necessario essere persone veramente buone.
    Guai alla giustizia in mano ai cattivi, peggio se intelligenti o potenti.
    Troveranno mille modi per far apparire giusto un provvedimento che, invece, vuole uccidere.
    Il giusto sa che la gente, che a parole chiede giustizia, alla fine vorrebbe trascinare il potere sempre dalla sua parte. Il giusto al potere sarà cacciato a furor di popolo come un incapace, allorché avrà chiesto equamente il sacrificio a tutti, per arrivare al bene di tutti. Cristo insegna! I partigiani del bene personale, a scapito del bene comune, non perdonano agli uomini giusti.
  4. Lascio a voi salire gli altri gradini delle beatitudini.
    Certo è che, se uno riesce a salirli, sicuramente arriverà sul monte delle beatitudini, ma dopo di aver dovuto bere buona parte delle lacrime della nostra valle, causate dalla troppa cattiveria umana. Sante e santi di Dio, veniteci in aiuto.

Il parroco: don Rinaldo Sommacal